Distillato nazionale

Ancora una volta parto per l’avventura di condividere con voi la mia passione per il pisco. Questa volta, per presentare il nostro prodotto all’interno di un libro di gastronomia peruviana in italiano, che ha come proposito far conoscere la nostra cucina e le nostre abitudini gastronomiche in Italia.

In questo capitolo porrò l’accento sulle qualità e le straordinarie bontà che caratterizzano la nostra bevanda nazionale. In primo luogo bisogna spiegare cosa è in realtà quest’acquavite: si tratta di un distillato puro di mosto d’uva, con quattro secoli di storia e una tradizione tramandata di generazione in generazione. Indicherò poi le regioni produttrici del pisco, le varie uve che sono utilizzate per la produzione e le varietà di pisco legate a queste uve.

È sottointeso che troverete e in queste pagine una variata selezione di cocktail, i più apprezzati, tra i quali il famoso pisco sour.

Vorrei che in queste pagine si chiarisse l’apporto che in questo libro si vuole dare alla storia di questa “peruvianissima” bevanda. Una storia che i produttori del pisco continuano a scrivere impegnandosi con ogni mezzo a elaborare il prodotto per quello che realmente è: la migliore acquavite d’uva del mondo, che custodisce nella sua sfolgorante trasparenza e nella sottigliezza del suo sapore e aroma, niente meno che secoli di storica tradizione.

Cos'è il pisco?

Come prima accennato, il pisco è puro mosto d’uva, distillato goccia dopo goccia, con quattro secoli di storia e una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione. Dagli arbori della sua storia, il pisco ha percorso un lungo viaggio iniziato con l’arrivo della vite al Nuovo Mondo e in questo caso in Perù, fino al suo adattamento naturale e spontaneo al nostro suolo e a tutte le attività – come l’elaborazione di vino e distillati – che si svilupparono attorno a una pianta così nobile e prodigiosa.

Dal suo percorso, da piccolo ramoscello di esordienti uve fino alla trasformazione in pisco, quest’acquavite ha seguito una serie di processi che, anche se oggi sono utilizzati i raffinati strumenti tecnologici, i metodi originali sono gli stessi utilizzati dall’inizio della produzione verso il secolo XVI nelle calde valli della nostra costa.

La formula è la stessa nella sua semplicità e perfezione, niente di meno che puro mosto d’uva pisquera fermentato e poi distillato che si trasforma in un liquido cristallino e trasparente con uno straordinario aroma e sapore al momento dell’assaggio.

Il pisco è probabilmente uno dei distillati d’uva più raffinato del mondo, un liquore pieno di gusto, aroma e corpo con un’apparenza chiara e trasparente. Non esiste nessun’altra parte al mondo dove si produca un distillato nello stesso modo; il pisco è tratto esclusivamente da succo puro d’uva fermentato e distillato senza aggiunta di alcun altro elemento.

La produzione di pisco attualmente è in mani dell’industria artigianale di media dimensione. I processi di elaborazione rispondono a criteri di “orgoglio nazionale” più che di produzione industriale o commerciale. Un importante dato è quello della produzione annuale: tra gli anni 2002 e 2013 è salita da 1.5 milioni di litri a 7,1 milioni di litri.

È interessante conoscere il procedimento della produzione: dalla vendemmia verso febbraio-marzo è selezionata con grande cura l’uva da cui si estraggono i succhi e mosti per la fermentazione e successiva distillazione in alambicchi. Approssimativamente per ogni sette chili di uva si produce un litro di pisco esclusivamente dal succo puro d’uva, a differenza di altre acquaviti, come la grappa italiana o l’orujo spagnolo, che si elaborano dallo scarto della produzione del vino.

Prima cosa: le tipologia di uva

Sono otto le uve pisqueras e solo con quelle si può produrre pisco.

Le qualità di uva per produrre il pisco variano secondo le regioni, i climi e i terreni – lungo la costa sud del Perù tra Lima e Tacna. Ci sono le uve aromatiche, che si distinguono appunto per l’aroma e le non aromatiche che non sono privi di aroma ma si distinguono per la maggior qualità e corpo. Le aromatiche sono: Italia, Moscatel, Albilla, Torontel. Le non aromatiche sono, Negra criolla, Mollar, Uvina e Quebranta, quest’ultima considerata la regina, coltivata a Ica, la culla del pisco.
Questi particolari ceppi costituiscono un perfetto esempio di adattamento e le loro caratteristiche tanto particolari apportano ai piscos che con esse si producono una propria essenza e ragione di essere.

In base all’uva utilizzata e al procedimento di produzione ci sono tre tipi di pisco:

  • Pisco puro, prodotto con un solo tipo d’uva che può essere aromatico e non aromatico.
    Il pisco aromatico, prodotto con uve fragranti, di tipo moscatel, torontel, italia e albilla, come indica il nome è un pisco di squisito aroma.
    Il tipo non aromatico, elaborato principalmente con uva quebranta, è un pisco di grande carattere, particolarmente apprezzato dagli intenditori.
  • Pisco mosto verde, elaborato con mosto fresco non totalmente fermentato, che risulta fresco, vellutato in bocca, considerato “super premium”.
  • Pisco acholado, elaborato con una mescolanza di uve aromatiche e non, risulta di maggiore gradazione alcolica è del tipo “blended”.

Questi sono i tipi di pisco principali controllati, altri, non soggetti alle norme di controllo sono quelli aromatizzati che si producono aggiungendo alcuni tipi di frutta nella distillazione, e il pisco macerato con frutta che si beve come digestivo.

Un regalo del Perù al mondo

Non c’è alcun dubbio sulle origini del pisco. Il pisco è peruviano. Ci sono molteplici testimonianze storiche che lo sostengono.

Prima di tutto, la parola “pisco” in quechua significa “uccello”. Già durante l’epoca pre colombiana, vi erano numerose specie di uccelli che s’innalzavano lunghe le baie attorno al porto di Pisco, e sui cieli di Ica e Nazca, proprio i luoghi dove per la prima volta fu prodotto il pisco. Contemporaneamente, “piscos” o “pishcos” erano una casta di esperti vasai nativi della regione di Pisco e Ica che dominarono l’arte di trasformare l’argilla in grosse giare molto simili a quelle che più in là furono chiamate, “pisco Botijas”, o semplicemente “piscos”.

Il nome di questa bevanda è certamente legato anche al porto di Pisco, fondato nel secolo XVI rendendo così inconfutabile l’origine di questo prodotto. Esiste una carta geografica del 1574 in cui si dimostra l’antichità del luogo di Pisco, situato nella costa della regione di Ica. Questa località, assieme ad altre regioni di Ica, era già nota per la coltivazione dell’uva, che si era adattata egregiamente al suolo e al clima calido, dando luogo posteriormente alla nascita del vino e del pisco.

L’uva fu portata in Perú dalle Canarie in occasione della fondazione della città di Lima (1535), per fornire la Chiesa di vino per la celebrazione della messa e per la tavola dei conquistatori e rappresentanti della Corona Spagnola.
Verso il principio del secolo XVII si cominciò a produrre il pisco, che ottenne un’immediata notorietà raccogliendo apprezzamento per il suo gusto raffinato. In seguito i gesuiti iniziarono la produzione e la vendita in grande scala e non solo in Perù, ma in altri luoghi di dominazione spagnola. Antiche botteghe disseminate lungo la costa sud del Perú testimoniano la produzione di pisco e vino.

Non si può parlare di pisco senza fare riferimento alla Norma Técnica Peruana (NTP 211.0012002) disposizione che segnala le condizioni di produzione del pisco, con le caratteristiche che lo devono contraddistinguere.
In base a questa, si definisce pisco l’acquavite d’uva prodotta nelle regioni di Ica, Lima, Tacna, Moquegua e Arequipa, prodotti unicamente dai ceppi d’uva Quebranta, Italia, Albilla, Torontel, Moscatel, Negra Criolla, Mollar y Uvina; con una gradazione alcolica tra 36° e 48 °.

D’altra parte, i principali alimenti e bevande in tutto il mondo sono protetti dalla chiamata Denominazione d’Origine, un concetto che, sebbene comprenda molti aspetti tecnici, include anche altri aspetti che hanno a che fare con la tradizione, la cultura e, cosa più importante, con il senso di appartenenza.

Tradizione, qualità, appartenenza

Johnny Schuler

Johnny Schuler si dedica da oltre trent’anni alla promozione e identificazione del pisco, la bevanda simbolo del Perù; è uno dei professionisti che ha maggiormente contribuito all’attuale notorietà in ambito internazionale di questa straordinaria acquavite d’uva.

Ha alle spalle un lungo percorso come degustatore professionale, è membro di numerose giurie in concorsi internazionali di degustazioni e imprenditore nel ramo dell’alimentazione e bevande.

Per la sua esperienza indiscussa è stato chiamato a partecipare a molteplici forum peruviani e internazionali, nei quali ha approfondito le peculiarità, del pisco sostenendo anche l’esclusiva “peruvianità” del prodotto.

È stato membro dell’esclusivo gruppo di professionisti e personalità che hanno partecipato all’elezione finale della creazione di una coppa marca Riedel per la degustazione del pisco.
È membro di entità e organizzazioni come la Comisión Nacional del pisco (CONSPISCO), il Comité Consultivo del Centro de innovación Tecnológica Vitivinícola de Ica (CITE-VID ICA), il Comité Técnico de Bebidas Alcohólicas Vitivinícolas e la Comisión de normas Técnicas de Indecopi.
Schuler è anche membro dell’Accademia Peruviana del Pisco, de l’Ordre Mundial des Gourmets Degustateurs Des Eaux de Vie et Liqueurs Spiriteux de Paris, e membro fondatore della Cofradía Nacional de Catadores del Perú.